6 momenti in viaggio che mi hanno cambiato la vita

Quando si dice che viaggiare ti cambia la vita, non è un modo di dire. Da ogni viaggio si torna un po’ cambiati, è vero. Viaggiare ci permette di arricchire il nostro bagaglio culturale, ci aiuta ad aprire la mente, ma nel mio caso è stato molto più di questo.

Viaggiare per il mondo da così giovane, a me ha veramente cambiato la vita. Io sono sempre stata una ragazza molto timida ed introversa, a scuola avevo pochi amici, non sono mai riuscita ad integrarmi completamente con gli altri ragazzi della mia età. Mi sono sentita sempre un po’ diversa, non mi riconoscevo negli interessi e nel modo di essere delle mie coetanee, anzi spesso mi sentivo a disagio. Non uscivo molto, non avevo un fidanzato e, sinceramente, nemmeno mi interessava, non fumavo, l’alcol mi faceva schifo e non capivo tutta questa eccitazione per i primi appuntamenti o per una serata in discoteca. Ho sempre saputo che il paesino di provincia non era il mio posto nel mondo, che c’era molto altro lì fuori da esplorare e da conoscere. Per questo non appena ne ho avuto la possibilità me ne sono andata. In realtà nessuno se lo aspettava da me: la ragazzina timida che parla poco che a poco più di vent’anni  prende un aereo e se ne va dall’altra parte del mondo con un biglietto di sola andata. Chi lo avrebbe mai detto?! Mia madre mi dice sempre che il mio annuncio di andarmene a studiare in Argentina per lei è stato come un fulmine a ciel sereno. Molte persone mi chiedono spesso dove abbia trovato il coraggio, mi dicono: “sarà stato molto difficile per te, lontano dalla famiglia, da sola, in un posto sconosciuto!” In realtà, e lo dico sinceramente, non lo è stato per niente. Non è stata una decisione combattuta quella di andarmene, anzi è stata molto naturale, quasi scontata. Non è stato per niente un “atto di coraggio”, ma un momento che mi sembrava di star aspettando da tutta la vita. Non ho mai provato paura o rimorso per essere partita, anzi sono sempre riuscita ad integrarmi molto bene ed in fretta nelle nuove città e nei nuovi ambienti. Considero sempre gli anni delle mie esperienze di vita all’estero, prima a Londra e dopo a Buenos Aires, come uno spartiacque della mia vita. Viaggiare ha formato il mio carattere, esplorare altri paesi mi ha aiutata tantissimo ad esplorare me stessa, a conoscere la mia forza ed i miei limiti, ad aprirmi con le persone, a crescere, a superare la mia timidezza. Vivere per un periodo lontano dalla sicurezza e dalla protezione della mia casa e della mia famiglia è stata una scelta della quale non mi pentirò mai e che consiglio a tutti di prendere, almeno una volta nella vita.

Oggi, con una pandemia in corso, rinchiusa in casa da mesi, senza la possibilità di viaggiare, sento di essere ritornata al punto zero. Sebbene sappia benissimo di essere fortunata, in salute, con una casa confortevole, la mia famiglia vicina e tre pasti caldi al giorno, la mia mente ed il mio corpo iniziano a dare segni di insofferenza per questa situazione. L’ansia, quest’emozione che io provavo solo in rare occasioni, è entrata a far parte del mio quotidiano. Se prima prendevo un aereo senza pensarci troppo e me ne andavo da sola dall’altra parte del mondo con l’animo leggero, adesso mi sembra un’impresa insormontabile il solo fatto di dover prendere un treno pieno di gente. Inizio a sudare freddo se penso che devo entrare in metro e mi colgono improvvisi attacchi di tachicardia se devo fare un viaggio in auto lungo più di un’ora. Spero che sia una situazione momentanea e che presto riprenda l’abitudine di viaggiare come ho sempre fatto, senza troppe paranoie.

Per ora non posso far altro che aspettare che la ruota giri e ripensare a quei momenti, spesso imprevisti e casuali, che ho affrontato con un pizzico d’ingenuità, alcuni dei quali, ripensandoci ora, potevano finire molto male. Eppure sono quei momenti che hanno reso i miei viaggi così speciali e che hanno tirato fuori da me una grinta che non pensavo di avere. Me ne vengono in mente molti, ma questi sono i sei che più mi hanno cambiata e che nei momenti di sconforto vado a ripescare per ricordarmi che sono forte, più di quanto pensi.

  • Quando ho trascorso cinque mesi a Bogotà ad insegnare inglese in una scuola pubblica della periferia della città.

– Non puoi venire vestita così in questo quartiere! Fu la prima cosa che mi disse un professore della scuola. Indossavo dei jeans, un paio di stivali e una camicia semplicissima: – dai troppo nell’occhio! Quella borsa non va bene. Guardai la mia borsa grigia comprata a venti euro in un negozio di Carpisa, senza capire come potesse attirare dei ladri  – Niente borsa da domani, usa delle buste di plastica. E indossa scarpe da ginnastica. Ah! E niente Iphone…se proprio devi portarlo non tirarlo mai fuori dalla borsa, soprattutto non davanti agli studenti! – O-ok… dissi balbettando. Così iniziava il mio primo giorno come insegnante di inglese nel Collegio Alexander Fleming.

Estratto da La nuova “profe de inglés”
  • Quando a piedi sotto la neve,  a 3000 metri d’altezza sulla Cordigliera delle Ande, ho attraversato il confine tra Peru e Bolivia.

Alle 6 del mattino l’autobus si ferma e l’autista annuncia -Copacabana!- è la nostra fermata, salutiamo Emil che invece ha deciso di proseguire fino alla capitale boliviana: La Paz, e scendiamo. Mi rendo conto di avere i piedi congelati, ma non posso farci niente, non ho altre scarpe con me. Chiudo il parka fino al mento e tiro su il cappuccio (certo che un cappello potevo anche portarlo!). Mi guardo intorno e noto che oltre a noi due sono scese altre sei o sette persone, tutte molto più equipaggiate, con zaini da trekking e scarpe sicuramente più adatte alla neve delle mie Nike. Il bus ci lascia sulla strada, letteralmente in mezzo al nulla, intorno a noi si vede solo un immenso campo innevato. E adesso? Io non vedo nessuna città, nemmeno in lontananza!

Estratto da Bienvenido a Bolivia
  • Quando ho preso l’opzione più economica per arrivare al Machu Picchu, viaggiando per due giorni in furgone (su strade non propriamente legali) sulle Ande e camminando per un tratto nella foresta costeggiando le rotaie del treno.

L’ultima parte del tragitto fino alla stazione di Hidroelectrica, è l’esperienza più vicina alla morte che io abbia mai avuto. La strada mantiene le stesse condizioni: niente guard rail, curve a gomito, precipizio, strada stretta a doppio senso di marcia, ma questa volta si aggiunge un’ulteriore elemento di non poco conto: strada non asfaltata. Un silenzio di tomba invade il pulmino che procede su una stradina scavata nella roccia: alla nostra destra la parete grigia della montagna, alla sinistra l’abisso e la strada sale sempre più in alto.

Estratto da Sull’orlo del precipizio
  • Quando mi sono quasi persa nella Sierra Nevada de Santa Marta, sulla costa colombiana e sono arrivata fino ad un villaggio indigeno in mezzo alla foresta pluviale.

Immaginate un massiccio montuoso tra i più alti del mondo (circa 5.000 metri d’altezza), le vette innevate, la temperatura perennemente sotto lo zero e poi immaginate di scendere lungo le pendici di roccia nuda fino ad incontrare le prime forme di vita ed attraversare poi la vegetazione che diventa sempre più rigogliosa fino a trasformarsi in foresta tropicale e ancora più giù attraverso la giungla umida passando per ogni fascia climatica esistente sulla Terra fino a raggiungere il caldo torrido della spiaggia e finalmente immergersi nel mare più caldo del pianeta: il Mar dei Caraibi. Questo posto esiste ed esiste solamente in Colombia, si chiama Sierra Nevada de Santa Marta: il sistema litorale montuoso più alto del pianeta che si eleva direttamente dalle spiagge bianche dei Caraibi. 

Estratto da Tayrona: dove la giungla abbraccia il mare
  • Quando ho passato la notte su un’amaca nel mezzo della giungla in Colombia

Dopo circa 45 minuti di cammino, iniziamo a sentire il rumore del mare e qualche minuto più tardi eccolo di fronte a noi, immenso e selvaggio. Qui la vegetazione è meno fitta e vediamo la luna che si riflette sull’acqua. Continuiamo a camminare lungo la spiaggia per un tratto, ma qualche istante dopo siamo di nuovo immersi nella foresta. Finalmente in lontananza si vedono delle luci: deve essere il campeggio. Improvvisamente iniziamo ad intravedere una serie di tende ed amache bianche illuminate da quelli che sembrano piccoli fuochi, in realtà lampade elettriche, sembra di trovarsi in un sogno o comunque  in un posto fuori dal tempo e dalla realtà. Sono emozionata, per la prima volta passerò la notte su un’amaca in mezzo alla giungla!

Estratto da Tayrona: dove la giungla abbraccia il mare
  • Quando ho viaggiato per quattro giorni tra Marrakech a Fès, salendo e scendendo dall’Alto Atlante, dormendo nei villaggi berberi e nel deserto del Sahara in un accampamento di nomadi.

Appena dopo pochi minuti lontano dalla civiltà il silenzio è assoluto ed intorno a noi non c’è altro che sabbia, dune morbidissime, immense e dorate. Il sole già sta calando e dopo circa un’ora e mezza di cammino ci fermiamo per ammirare il tramonto dalla cima di una duna. Il paesaggio è pazzesco, rimaniamo seduti sulla sabbia per diversi minuti a guardare il cielo che cambia colore fino a diventare rosso per poi ripartire verso l’accampamento. Questo appare all’improvviso da dietro una duna, come una piccola oasi. Tende bianchissime emergono dal nulla, un odore di spezie e carne  alla brace preannuncia quella che sarà la nostra cena. L’accampamento è tutto per noi, non ci sono altri turisti. Ci godiamo la nostra cena a base di tajine e tè, seduti su dei tappeti guardando le stelle, che grazie all’assenza di luci artificiali, sembrano molte di più di quanto ricordassi. Basta poi allontanarsi un po’ dall’accampamento per ammirare la via lattea in tutto il suo splendore.

Estratto da Una settimana in Marocco. Seconda parte: l’Alto Atlante ed il Sahara

Un commento Aggiungi il tuo

  1. fravikings ha detto:

    Tutte bellissime esperienze ma la migliore, secondo me, è il deserto!

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